In viaggio con Solfrizzi, da Bergen Belsen ad Alberobello
Solfrizzi incontra i detenuti di Siena
Sabato 4
Novembre torna ad alzarsi il sipario del piccolo teatro della casa
circondariale di Santo Spirito. L'inizio è di quelli col botto: ad aprire la
stagione 2017/2018 è nientepopodimeno che Emilio Solfrizzi. L'attore di cinema
e teatro, di mai celate origini pugliesi, ha ritagliato un po' del suo prezioso
tempo per concedersi, senza una regia e senza un copione prestabilito, ai
detenuti di Siena. Tra una prova e l'altra del suo Molière (che ha debuttato al
teatro dei Rinnovati proprio ieri sera) è riuscito dedicare quasi un'ora e
mezza ai ragazzi del carcere, che hanno vissuto un'altra esperienza di teatro
nudo, di confronto diretto, a stretto contatto con uno dei più poliedrici
attori del panorama italiano. Eh si perché l'apertura dell'incontro è di quelle
che non ti aspetti. Solfrizzi, prendendo spunto da recenti fatti di cronaca
"calcistica" (chiamiamola così), racconta la sua esperienza nel ruolo
del padre di Anna Frank. Parla con vera partecipazione della storia del diario
più famoso dell'olocausto, delle pagine strappate dai genitori perché
rivelatrici di aspetti troppo intimi della piccola Anna, della vergogna per le
legge razziali e, soprattutto, per la mancanza di indignazione contro quelle
leggi da parte di un'Italia disorientata e complice.
Spiega il
dietro le quinte di quel film (Mi ricordo Anna Frank) girato nella
"Cinecittà" di Budapest e tutti i retroscena e gli escamotage della
produzione e del regista per rendere la pellicola più realistica possibile agli
occhi del pubblico. I presenti ascoltano l'attore in uno stato di precario
equilibrio tra vivo interesse e umano sconcerto. Ma forse sui dettagli è meglio
sorvolare...
Continua
a parlare di cinema e questa volta il tono è amareggiato per la situazione di
degrado in cui da anni ristagna quello nazionale, lontano dagli anni d'oro dei
vari Fellini, Rossellini, etc... e sempre più difficilmente esportabile in
realtà diverse dalla nostra. Allora meglio il teatro (realtà tenuta viva anche
nel piccolo carcere grazie a un piccolo gruppo di volontari), vero banco di
prova per un attore. Niente intermediari o filtri. Niente regia o fotografia
che adulteri la performance. Niente attesa per il feedback sulla recitazione.
Contatto diretto e immediato con il pubblico.
E
contatto diretto e immediato è stato anche questo pomeriggio. Più che diretto,
intimo. Solfrizzi ha raccontato, ha spiegato e scherzato (con frecciatine nel
suo immancabile barese) con una platea diversa dal solito. Anche se- ha tenuto
a precisare- non era la sua prima esperienza in un istituto penitenziario. Qualche
anno fa era andato a leggere delle facezie di papa Giovanni Paolo II (si avete
capito bene!) a Rebibbia. In carcere insomma già c'era stato. Ma è recidivo. E
alla prima occasione ci è cascato di nuovo.
Come
spesso accade in queste circostanze, il tempo è volato via in fretta e l'attore
era atteso dalla prova del pomeriggio, fondamentale per uno spettacolo alla sua
seconda rappresentazione. Così, dopo quasi un’ora e mezza a completa
disposizione degli ospiti di Santo Spirito, saluta veloce e scende dal palco per
guadagnare l'uscita dove ad attenderlo, puntuale, c'è un taxi. Il sentito
applauso dei presenti è quasi una violenza per un grande attore (e un grande
uomo) che in punta di piedi era entrato e in punta di piedi (come un ladro,
potremmo dire) stava andando nuovamente via. Non era una pièce teatrale, un
monologo. Non stava recitando. Era semplicemente se stesso, naturale e
spontaneo come solo un barese sa essere.
Oggi hai detto: "Ci sono attori che, una volta conosciuti di
persona, lontani dai loro personaggi e dalle loro maschere,
risultano irriconoscibili agli occhi dei loro fans."
Tu, caro Emilio, anche dal vivo ci hai fatto sorridere,
riflettere, indignare... in una parola emozionare. Sei proprio così e per
questo, a nome di tutta la struttura, ti ringrazio di cuore e ti faccio il
più sincero in bocca al lupo per tutti i tuoi progetti futuri.
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