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Visualizzazione dei post da 2012

Il giovanotto di Via Margutta

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Mamma: e la canzone vola Era il 1992 quando Luca Barbarossa si presentò a San Remo con un pezzo d'amore. Sì, sempre l'amore. Ma un amore diverso. L'amore verso la madre. Una canzone che trovò pubblico e critica unanimi. E non poteva essere altrimenti. La canzone sanremese è stata da sempre pervasa da canzoni d'amore, più o meno belle, più o meno scontate. Barbarossa si inserisce in questo filone e lo stravolge scrivendo quasi una lettera di scusa alla madre. Per gli anni passati lontano a causa del lavoro, del successo, della vita che spesso ci costringe a scelte e compromessi che non possiamo rifiutare. Ma la vita spesso concede seconde occasioni, attimi di riscatto, momenti per spiegare e per spiegarsi. E allora quale palcoscenico migliore di quello dell'Ariston, davanti a milioni di italiani, che criticano criticano ma che in fondo vedono e amano San Remo?  Qualcuno potrebbe obiettare che anche le canzoni sulle "mamme" ricalcano un filone vec

Quando la musica si spoglia

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Mon doux, mon tendre, mon merveilleux amour Voglio tornare di nuovo ai testi della canzone francese (questa volta solo di lingua) e proporre un brano di un'intensità e di una poetica straordinari. L'autore è Jacques Brel, cantautore belga del secolo scorso (1929-1978). E' considerato da molti come il più grande cantautore di lingua francofona di tutti i tempi. Poliedrico ed eccentrico ha alternato nelle sue canzoni temi sociali a liriche d'amore, composizioni facete ad altre più drammatiche. Ha vissuto la maggior parte della sua vita nella capitale francese, scrivendo quasi esclusivamente in francese tutte le sue liriche. Ambiguo è stato definito il suo rapporto con i movimenti indipendentisti belgi: in un primo tempo si è presentato al pubblico come un cantautore fiammingo (pur non continuando a scrivere in francese ) arrivando a fine carriera a prendere una decisa posizione contro i    i "flamingants" (i sostenitori del movimento fiammingo).

La canzone della triste rinuncia

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Il valore del tempo Di Guccini è stato già detto tutto: il suo scrivere in versi molto vicini a quelli propri della poesia, l'impegno sociale dagli anni della Locomotiva  a quelli di Addio , il passaggio da un Guccini incazzato e incazzoso a un Guccini cinico e distaccato che sembra seguire le vicende mondane dall'alto del suo appennino e non più dalla piazza.  In queste due righe volevo riportare l'attenzione sul Guccini innamorato, il Guccini che scrive e che canta d'amore. Nelle sue canzoni l'amore (per una donna) compare con tutte le sue sfaccettature: critica e aggressiva verso il passato ( Quattro stracci ), idilliaca e dolce ( Vorrei ), voyeuristica e partecipe ( Samantha , Venezia ). Sono le vicende tristi di Andrea e Samantha, di Stefania (e perché no, di Antenor per chi se la ricorda) quelle in cui il cantautore modenese riesce a descrivere con tutte le sfumature di grigio questo paesaggio interiore caratterizzato dalla perdita dell'altro (a vol

La poesia di Ferré e della cricca francese

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Non si può essere seri, mai! Guccini, Vecchioni, Benigni, Marasco e tanti altri hanno scritto in versi, come pseudo-poesie, le parole di molte delle loro canzoni. Endecasillabi, settenari, alessandrini etc... Il risultato ritmico melodico del testo è sicuramente di grande effetto, soprattutto se accompagnato da un significato non banale. Un'altra direzione seguita da vari gruppi o cantanti è stata, al contrario, quella di mettere in musica le parole dei grandi poeti o scrittori di ogni (come aveva fatto Vecchioni con Pessoa nelle Lettere d'amore ).  I Tête de bois, un gruppo formatosi a Roma nel 1992, hanno fin dall'inizio rielaborato e musicato i grandi classici della poesia d'oltralpe: Brassens, Baudelair, Ferré, etc... Il risultato è una lirica suadente accompagnata quasi in maniera contrappuntistica dalla tromba di Luca de Carlo o dalle tastiere (piano e  fisarmonica principalmente) di Angelo Pelini. La canzone che vi invito ad ascoltare oggi (dal

L'inno dell'endecasillabo sciolto

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Una canzone senza fiato Più volte ho evidenziato come i grandi cantautori del panorama italiano abbiano trovato nell'endecasillabo il metro più adatto per esprimere i loro pensieri, le loro premure, i loro sentimenti: da De André a Vecchioni, da Branduardi a Guccini, etc... La Toscana ha un rapporto privilegiato con questo metro. La Toscana di Dante, di Petrarca e di Marasco da sempre predilige l'endecasillabo per il parlare in versi, sia che si tratti di descrivere un complicato viaggio nell'aldilà sia che si tratti di raccontare il dramma della tracimazione dell'Arno del '66.  Ha compiuto da qualche settimana 60 anni Roberto Benigni, simbolo in tutto il mondo della toscanità più genuina e vera. Personalmente non so se la lettura del sommo poeta e della sua Commedia lo abbia portato a una conversione sulla via di Damasco come avvenne a San Paolo, ma l'ultimo Benigni mi sembra l'eco lontana di quello combattivo, pungente e dissacrante (nel senso

Domenica, Lunedì... e qualche anno ancora

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Canzone delle grasse cosce di pane Mi sembra che fosse il Luglio del 2001, quando un amico mi regalò un pass per la festa medioevale di Monteriggioni. Lo special guest della serata era Angelo Branduardi. In quella cornice suggestiva si è esibito davanti a una manciata di persone in un concerto completamente acustico: chitarra, percussioni e voce.  Ha eseguito moltissime delle sue canzoni più famose: dalla Fiera dell'est a Confessioni di un malandrino , passando per La pulce d'acqua e Vanità di vanità . In quell'occasione presentò anche il brano d'amore Laila, laila che sarebbe poi apparso nell'album Altro e altrove del 2003. Ma di brani d'amore, come riconosce lo stesso Branduardi, non ne ha mai scritti molti, commentando con la solita brillante ironia che "geneticamente a molto capello corrisponde poco testosterone"!  Questo che vi invito ad ascoltare oggi è quindi un'eccezione. Una bellissima eccezione, in più di un senso. E'

Lettere ridicole

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Pessoa e il secolo dell'assurdo Fernando Pessoa nasce a Lisbona nel 1888. E' considerato a ragione uno dei più grandi scrittori del novecento: visionario, d'avanguardia, futurista. Nell'Europa dell' Ulisse di Joyce, de l'uomo senza qualità di Musil, de la coscienza di Zeno di Svevo, si fa anche lui carico della crisi dell'uomo, della sua perdita di certezze e di identità. Crisi di identità che Pessoa amplifica a tal punto da arrivare a scrivere sotto diversi eteronomi:  Alberto Caeiro, Alvaro de Campos e Ricardo Reis, ciascuno con un proprio stile e una personale biografia. Si direbbe quasi una  schizofrenia artistico-letteraria.  Un genio, un precursore dei tempi e un inventore di stili- come dirà lo stesso Vecchioni in un'intervista che potete trovare cliccando  qui - uno scrittore che ha scritto migliaia di cose meravigliose ma che arriva alla fine della sua esistenza e si accorge di non avere scritto mai una lettera d'amore. Da qui il brus

L'Italia degli zingari felici

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Aspettando Lolli I rimpianti sono quelle macchioline che uno si porta dietro per un certo periodo più o meno lungo e che ci lasciano nel tempo dei sottili malumori. Uno di quelli che ancora oggi mi trascino dietro con più  rammarico risale a circa 10 anni fa. L'anno preciso non me lo ricordo. Ero uscito dall'ufficio abbastanza tardi, saranno state le 23:00. L'ufficio era ancora in Via del Capitano e nella contigua piazza del duomo era montato un palco, dove si esibiva "qualcuno". Ci saranno state una trentina di persone, non di più, ad ascoltarlo. Ero troppo lontano per discernere le note, gli accordi e le parole provenienti da là. Stanco e assonnato, prendo una via parallela e mi dirigo verso casa. Il giorno dopo un collega mi rivela che su quel palchetto, davanti a quella manciata di persone, si stava esibendo Claudio Lolli. Lolli, classe '50, emiliano di nascita, è un cantautore impegnato e poliedrico che ha volto il suo sguardo critico